Radical chic francesi e nazional-bolscevichi dall'ego ipertrofico
«La gente del Donbas ha detto basta e nessuno riuscirà a fermarla» e ancora «Putin non avrebbe dovuto incontrare Poroshenko. Si è fatto intortare da Hollande e dalla Merkel». Queste alcune perle di «saggezza» (l'uso del virgolettato è d'obbligo) dispensate da Eduard Limonov, ex leader del Partito Nazional-bolscevico russo, in un'intervista rilasciata sabato 7 giugno a un noto quotidiano italiano. Lo stesso giorno una tv nazionale ospitava nei suoi studi televisivi Nicolai Lilin, tatuatore siberiano, divenuto scrittore di cul(to) in Italia grazie ai prodigi del marketing e a un team di abili ghost writers (Giulio Einaudi si rivolterà nella tomba nel vedere che la casa editrice da lui fondata pubblica simili opere), che senza contraddittorio alcuno ripeteva tesi più o meno analoghe. Ossia l'Ucraina è governata da un manipolo di nazisti (peccato che Pravyi Sektor e Svoboda, i due partiti nazionalisti — non nazisti! — abbiano ottenuto congiuntamente il 2.5% alle elezioni presidenziali ucraine del 25 maggio), l'esercito di Kyiv uccide i civili in Donbas (peccato che le immagini dimostrino esattamente il contrario) e altre fesserie degne della più rozza propaganda sovietica d'antan. Tralasciando Lilin — sulla sua «autorevolezza» e provata abilità nel raccontare la «verità» hanno già ampiamente scritto i colleghi Anna Zafesova e Antonio Armano — vorrei tornare su Limonov, un mediocre scrittore che fino alla pubblicazione del libro biografico di Emmanuel Carrère, era un illustre sconosciuto in Europa.
Oggi invece non solo è un personaggio popolare, ma è diventato addirittura un maître à penser per tanti giornalisti italiani e d'oltralpe. Non è la prima volta che Eduard Veniaminovich Savenko in arte Limonov viene intervistato o citato per spiegare ai lettori italiani, che fortunatamente non sono cretini come molti giornalisti pensano, cosa stia succedendo in Ucraina. Mai che in questi mesi i media italiani si siano sentiti in dovere di raccogliere l'opinione di storici seri o di ucrainisti! No, hanno preferito dare spazio a scrittori dall'ego ipertrofico desiderosi solo di propagandare l'ideologia ufficiale del Cremlino e di farsi pubblicità. Un vizio peraltro comune alla gauche caviar francese cui appartengono di diritto sia Emmanuel Carrère, biografo di Limonov, sia sua madre la russista Hélène Carrère d'Encausse, una storica che da tempo guarda con una certa simpatia al nuovo corso politico del Cremlino.
Emmanuel Carrère — Limonov
È il più grande scrittore francese contemporaneo afferma sicura di sé e con dubbio gusto la madre — Hélène Carrère d'Encausse — sovietologa d'oltralpe, autrice di importanti saggi su URSS e Russia, una recente, inconfessabile, fascinazione per Putin. Lui, Emmanuel, cinquantasettenne parigino «nato in una famiglia borghese di un quartiere elegante», residente «in una zona di Parigi decisamente radical-chic», «figlio di un alto dirigente e di una storica famosa» (sono sue parole), forte di cotanto pedigree e del clamoroso successo del suo ultimo libro fa spallucce e se la ride.
Amici che l'hanno incontrato qualche anno fa nella tenuta toscana della baronessa Beatrice Monti Rezzori, ospite del prestigioso premio letterario Gregor von Rezzori, l'hanno dipinto come una ‘primadonna' educata e compiaciuta. Probabilmente — e non c'è nulla di male in tutto ciò — il buon Emmanuel si sta godendo i frutti di una celebrità cercata con ostinazione per tanto tempo. Una celebrità che è arrivata improvvisamente, dopo anni passati a scrivere «libri e sceneggiature», solo negli ultimi anni grazie al clamoroso successo di Limonov. La ‘biografia romanzata' dedicata al controverso scrittore underground e leader dei nazbol (nazional-bolscevichi) Eduard Savenko, in arte Eduard Limonov, è stata infatti un autentico bestseller in Francia. Tant'è che il successo del libro di Carrère, pubblicato nel 2011 dai tipi di P.O.L. Editeur, ha spinto l'algida Adelphi, tra lo stupore di molti, ad assicurarsene i diritti italiani. In realtà la casa editrice milanese non è nuova a operazioni di questo tipo basti pensare alla pubblicazione di Simenon, un tempo ‘scrittore di genere' ghettizzato nelle edicole.
Limonov, uscito in Italia nell'ottobre del 2012, lo si potrebbe definire una sorta di «romanzo russo» visto che, oltre alla considerevole mole (ben 356 pagine), finisce per raccontare — attraverso il prisma poliedrico della «vita romanzesca e spericolata» di Eduard Savenko — gli ultimi sessant'anni della storia russa. A ben vedere (il lettore più smaliziato, non a digiuno di Russia, se ne accorgerà presto) le idiosincrasie, le contraddizioni, gli aspetti più plateali e sciovinisti del personaggio Limonov sono gli stessi di un paese che da sempre guarda all'Occidente e alle sue presunte debolezze con un misto di arroganza, invidia e disprezzo.
Non tragga in inganno il fatto che Limonov, nella sua veste più recente di agitatore politico e di oppositore di Putin — una delle ultime maschere indossate dopo quella di teppista in Ucraina, poeta underground a Mosca, barbone e marchettaro a New York, scrittore alla moda a Parigi, miliziano filoserbo nei Balcani — abbia fatto fronte comune con i democratici Garry Kasparov e Mikhail Kasyanov nel 2007 nel tentativo, di opporsi al tandem governativo Medvedev-Putin.
Limonov, come spiega Carrère nella chiosa finale, disprezza Putin semplicemente perché Vladimir Vladimirovich, nato da un'umile famiglia di San Pietroburgo, molto simile a quella ucraina dei Savenko, è uno che, al contrario di lui, ce l'ha fatta. Putin, l'ex funzionario del KGB dislocato con compiti di secondo ordine nella DDR, è oggi lo zar della nuova Russia. Un ruolo questo che Limonov aveva immaginato per sé sin da bambino quando, all'interno della sua kommunalka kharkivese, fantasticava sul suo futuro sperando non fosse grigio come quello dei suoi genitori. Emblematica la frase pronunciata a Mosca nel 2007 da un giornalista inglese che assiste a una conferenza stampa del blocco democratico Drugaya Rossiya capitanato dall'improbabile terzetto Limonov, Kasparov, Kasyanov. L'uomo, rivolgendosi sottovoce, ma con aria assolutamente seria a Carrère, anche lui presente in sala, afferma: «Gli amici di Limonov farebbero bene a non fidarsi di lui. Se per caso prendesse il potere, per prima cosa li farebbe fucilare tutti».
Leggendo le oltre trecento pagine di questa biografia — in cui l'autore quasi per giustificare una malcelata simpatia verso Limonov ribadisce più volte di sospendere il giudizio sul protagonista del suo romanzo e di limitarsi a riportare i fatti — appare evidente come l'affermazione del giornalista inglese non sia affatto una provocazione, ma poggi su basi assolutamente fondate. Lo stesso Carrère non esclude che Limonov nel corso della sua vita abbia voluto provare l'ebbrezza dell'omicidio (si ipotizza nel corso della guerra nell'ex Jugoslavia) anche se, ovviamente, il diretto interessato ha sempre negato tale addebito.
Gli anni dell'adolescenza e della giovinezza trascorsi a Kharkiv, ricostruiti accuratamente da Carrère avvalendosi sia delle testimonianze dirette di Limonov, sia delle pagine di romanzi come Podrostok Savenko (Eddy Baby Ti Amo, Salani 2005), sono ricchi di episodi che rendono ragione non solo di un carattere irrequieto ed egocentrico, ma di una fascinazione verso la violenza che, a ben vedere, è il filo rosso che unisce le diverse incarnazioni di questo D'Annunzio da feuilleton sovietico.
Le pagine kharkivesi del libro, in particolare quelle ambientate nel quartiere popolare di Saltovka, hanno l'odore del sangue di stupri collettivi e di risse che degenerano in accoltellamenti, il sapore aspro del samogon — la vodka fatta in casa per sballarsi in trip alcolici, zapoy, che durano giorni interni — e quello dolciastro dello sperma. Sono pagine crude, spesso disgustose, sconsigliate ai deboli di stomaco, eppure fondamentali per comprendere il personaggio Limonov e i codici comportamentali di un proletariato sovietico, quello degli anni'50, alcolizzato e analfabeta che, nonostante il disgelo khruscioviano, vive ancora nel mito di Stalin.
A Saltovka dove, tra strade non asfaltate che si intersecano ad angolo retto, abitano gli operai di tre grandi fabbriche Turbina, Pistone, Falce e Martello, gli unici divertimenti possibili sono l'alcol e il sesso, praticato nel migliore dei casi (ossia quando non si traduce in stupro) in maniera animalesca. A Saltovka il jazz raffinato degli Stiliagi, i giovani filoccidentali che passeggiano lungo la Sumskaya, il boulevard principale di Kharkiv, con acconciature che ricordano i capelli a banana di Elvis Presley, non arriverà mai. A Saltovka la musica dei compagni di sbronze di Limonov è il blues ferroviario, quasi lisergico, di zapoy che si protraggono per giorni interi su treni di cui spesso non si conosce neppure la destinazione. Accade così che nel corso di questi trip alcolici Eduard e i suoi amici diventino protagonisti di furti, aggressioni ed episodi di violenza. Alcuni finiranno in carcere, altri giustiziati presso la corte marziale, quando malauguratamente ci scappa il morto. Limonov a soli vent'anni, dopo un tentativo di suicidio, sarà rinchiuso in ospedale psichiatrico.
Fortunatamente dopo due mesi di internamento, Eduard incapperà in un vecchio psichiatra il quale intuisce che il ragazzo non è affatto pazzo, semplicemente incompatibile con la routine di una vita grigia a base di lavoro in fabbrica e sbronze di vodka. Sarà questo vecchio terapeuta dalle orecchie pelose a indirizzarlo in una libreria del centro di Kharkov, punto d'incontro di tutti gli artisti e poeti della città ucraina. All'interno di Libreria 41 il ventenne Limonov conoscerà Anna Moiseevna Rubinstejn, la donna che diventerà per un periodo la sua amante e con la quale si trasferirà qualche anno più tardi a Mosca in cerca di gloria prima dell'esilio volontario a New York e a Parigi.
Oggi Eduard, stesso sguardo da canaglia di sempre, è arrivato alla soglia dei 70 anni. Recentemente è stato abbandonato dalla seconda moglie, la famosa attrice russa Ekaterina Volkova che gli ha dato due figli: Aleksandra e Bogdan. La cosa non sembra preoccuparlo troppo. Sostiene infatti di avere parecchie amanti, tutte belle e giovani, di serie A come ama chiamarle lui. Dopo il fallimento del progetto Drugaya Rossiya Limonov è di nuovo in pista con il movimento politico Strategia 31, dal numero dell'articolo della costituzione che garantisce il diritto di manifestare.
C'è da scommettere che il «diario di questo fallito», per parafrasare il titolo di un suo noto romanzo uscito anche in Italia, si arricchirà di altre esilaranti pagine. Eroe o cialtrone, oggi Limonov, grazie anche a uno scrittore francese radical chic che avrebbe voluto vivere una vita oltraggiosa come la sua, gode di una popolarità mondiale. Basterà questo ad appagare il suo ego ipertrofico?
A giudicare dalle sue recenti affermazioni, vera e propria apologia della sedicente Repubblica Popolare del Donbas, gruppo di criminali che tiene in ostaggio la popolazione civile con l'appoggio di militari russi, irregolari ceceni e cetnici serbi, sembrerebbe proprio di no!
«Massimilianodipasquale.wordpress.com», 15.06.2014