Incontrare Emmanuel Carrere a Mantova
Il nostro racconto dell'appuntamento alla XVII edizione del Festivaletteratura di Mantova con l'autore «ritrattista» de' L'avversario e Limonov.
Emmanuel Carrère è uno dei protagonisti della scena letteraria francese, con un seguito di cultori anche in Italia. La Redazione di Vorrei ha avuto modo di vederlo ed ascoltarlo al Festivaletteratura lo scorso 8 settembre, intervistato dalla scrittrice Elena Stancarelli. Proponiamo qui ai lettori le impressioni raccolte all'incontro mantovano, occasione in cui lo scrittore ha presentato i suoi ultimi due libri.
Scrittore, sceneggiatore, regista, Carrère è difficile da classificare, perché si muove in un spazio narrativo personalissimo che oscilla tra illusione e realtà, biografia e autobiografia-fiction, romanzo e saggio, cronaca e immaginazione, in cui è lui stesso talvolta a mettersi in scena.
I consensi che riscuote tra il pubblico anche a Mantova sono immediatamente percepibili dalle lunghe code che si formano davanti alla sede dell'incontro di chiusura del Festival, nella scenografica Piazza Castello, all’interno del Palazzo Ducale, tra gli edifici residenziali e il Castello di San Giorgio, il plesso fortificato dell’immensa reggia dei Gonzaga.
Subito colpisce per il viso stropicciato e vissuto dai tratti quasi mongoli, che richiamano la sua lontana origine georgiana da parte del nonno materno. Cinquantacinquenne, parigino, dal percorso politico piuttosto accidentato, mi aspetto di incontrare un narcisista pieno di sé. Ho letto tutti i suoi libri e mi par di conoscerlo, lui che spunta sempre tra le pagine, invece ad essere un poco irritante è l'intervistatrice, che vuole far mostra del suo sapere, mentre lo scrittore è disponibile e generoso.
Le domande della giornalista si concentrano sui due libri più recenti L'Avversario (Einaudi 2000, ripubblicato da Adelphi nel 2013) e Limonov (Adelphi 2012), quelli della nuova strada di Carrère, in cui la realtà documentaria e le esperienze umane basate su fatti accertati sembrano coincidere con il racconto romanzesco. Dov'è il confine ci si domanda?
In principio l'intervista verte sul percorso originale di quella forma di narrazione, tradizionale e innovativa al contempo, alla quale Carrère si dedica in questa sua seconda parte di vita letteraria. Interessato a scrivere rapporti, una sorta di variante del reportage d'inchiesta, lo scrittore inserisce commenti personali, elementi autobiografici tratti dalla propria esperienza e passaggi di narrazione pura. Il suo essere nei libri è un intervento necessario che porta il lettore ancor più all'interno delle vicende e ai personaggi su cui indaga.
Sette anni per ricostruire nell’Avversario la vita di Jean-Claude Romand, che nel 1993 uccide i genitori, la moglie e i loro due figli, tentando poi (senza troppo convincimento) di suicidarsi. Da giovane Romand manca un esame di medicina all'Università e da lì inizia quasi un ventennio di menzogne sempre più ingestibili. Finge di recarsi ogni mattina al lavoro a Ginevra all'Organizzazione mondiale della sanità e invece vaga nei boschi del Jura, fino a quando — temendo di essere smascherato — stermina brutalmente tutta la sua famiglia. Carrère assiste al processo e successivamente gli spedisce una lettera in carcere per chiedergli un' intervista. Ciò che lo interessa è accedere alla coscienza di Romand, è quella storia di simulazione di un uomo normale, la convergenza di straordinarietà e banalità di una vita familiare e sociale in apparenza tranquilla, fino alle soglie della follia che esplode nei cinque omicidi.
Seguono tre anni di silenzio e poi la risposta arriva. L'esca è un libro angosciante, La settimana Bianca che Carrère scrive nel frattempo; l'assassino lo legge, si ritrova in parte in quella relazione famigliare misteriosa e spaventosa ed inizia così una lunga corrispondenza epistolare tra i due e lentamente l'Avversario si compone.
Carrère sceglie di essere la terza persona narrante perché — così ci dice — «Il faut pas occuper la place des autres, il faut occuper la sienne» («Non bisogna occupare il posto degli altri, bisogna occupare il proprio») e partono gli applausi.
Lo scrittore scava nel passato e nella mente di Romand, nei diciott'anni di tradimento della verità, nei suoi timori di deludere gli altri e in quella vita simulata e parallela che, a familiari e amici, fa credere di essere reale e nella quale infine Romand soccombe al suo falso. E lo scrittore, sempre dentro alle pagine, coinvolge il lettore nei suoi ripensamenti e dubbi, fino ad arrivare ad abbandonare per diverso tempo il progetto di scrivere la storia del pluriomicida. «J'avais honte de l'écrire» («Avevo vergogna di scrivela») — ci racconta — per la mostruosità di una simile vicenda.
Ci tiene Carrère a far comprendere che scrivere L’avversario è stata un'esperienza durissima dalla quale ne è uscito assai provato e aggiunge che se fosse stato un romanzo non avrebbe funzionato, perché si sarebbe creduta una storia irreale.
Perché leggere l'Avversario? Perché ognuno di noi fa i conti con il divario tra quello che è e l’immagine di sé che mostra agli altri.
E' Con Limonov l'incredibile vicenda biografica dell'avventuriero Eduard Savenko in arte Limonov (il nome deriva sia da limone, omaggio al suo umore acido e bellicoso, sia da limonka, che significa bomba a mano), che Carrère conosce il grande successo nel nostro paese, ottenendo dopo il francesce Prix Renaudot (2011), il Premio Malaparte in Italia (2012).
Anche in questo caso lo stile narrativo oscilla tra il racconto auto-biografico e la biografia romanzesca e le oltre 350 pagine del libro scorrono rapidamente seducendoci.
E' un grande libro stratificato dal ritmo vivace, in cui compaiono più livelli che avanzano insieme: al primo, quello biografico — in cui lo scrittore segue la vicenda individuale e non comune di Limonov — si sovrappone un secondo livello che riguarda il rapporto personale di Carrère con il protagonista ed infine c'è un terzo piano, rappresentato dalla storia degli ultimi quarant'anni della Russia.
Il libro attrae, talvolta respinge e sempre stupisce, segue un andamento costituito da tappe per luoghi e ruoli ricoperti da Limonov nella sua vita aperta ad ogni esperienza. Lo si conosce dapprima giovane teppista in Ucraina negli anni ’50 e ’60, poi scrittore, sarto ed idolo degli ambienti underground di Mosca nei primi anni '70 e lo si trova poi a Manhattan tra il 1975 e il 1980 frequentatore di eventi del jet-set e dei bassifondi di New York, alcolizzato, disoccupato, omosessuale all'occasione, poeta maudit, ma anche domestico di un miliardario americano. Poi arriva in Francia, dove ottiene successo anche come scrittore, di qui il ritorno in Russia, dopo la breve e discussa stagione nei Balcani a fianco dei miliziani serbi contro i bosniaci (quelli del criminale Karadžić per intenderci). In Russia giunge dopo il crollo dell'Unione sovietica, all’inizio degli anni ’90. Qui, alleato dell’ex campione mondiale di scacchi Gary Kasparov, fonda il Partito fuorilegge Nazional-bolscevico in opposizione a Vladimir Putin. Dal 2001 al 2003 viene incarcerato per associazione a banda armata e trova la sua salvezza nella scrittura e nella meditazione. In carcere scrive infatti 8 libri, fra cui quello che molti riconoscono come il suo capolavoro, Il libro dell'acqua (Alet Edizioni 2004).
Oggi 69enne Eduard Limonov è un uomo libero, ma soggetto a ripetuti arresti a seguito di atti dimostrativi di protesta e in quanto leader del movimento di opposizione «L’Altra Russia. Scrittore di culto ed idolo dei quei giovani che non si riconoscono nella Russia di Putin, Limonov ha al suo attivo oltre una ventina di libri tra romanzi, poesie, scritti teatrali tradotti in molte lingue.
Carrère conosce personalmente Limonov, lo incontra, lo intervista, raccoglie le sue memorie e le testimonianze di chi lo ha conosciuto, legge i suoi libri (tutti autobiografici) e ricostruisce la sua incredibile vicenda pubblica e politica con uno sguardo imparziale. Non è facile essere senza riserve se si pensa ad esempio al protagonista quando impugna le armi e fa il cecchino durante il lungo assedio di Sarajevo. Il fatto che si tratti della reale storia di una persona e non la vicenda romanzata di un personaggio inventato, accresce l'interesse e la disponibilità a conoscere, se non comprendere, la sua storia.
«Perché vuole scrivere un libro su di me?» Sono colto di sorpresa ma rispondo con sincerità: perché lei ha — o ha avuto, non ricordo più il tempo che ho usato — una vita appassionante. Una vita romanzesca, pericolosa, una vita che ha accettato il rischio di calarsi nella storia. E a questo punto Eduard dice qualcosa che mi lascia di sasso. Con la sua risatina brusca, senza guardarmi: «Già una vita di merda». p. 353
All'incontro del Festivaletteratura Carrère ci racconta dell'approccio che occorre tenere nella lettura di questo libro: «Il faut essayer de voir le monde à travers les lunettes de Limonov» («Bisogna cercare di guardare il mondo attraverso gli occhiali di Limonov».) Riuscire a guardare la realtà con quegli occhi è rendere giustizia a Limonov — aggiunge ancora Carrère — ed io ci ho provato.
Perché leggere Limonov quindi? Perchè è un libro che fa vedere il mondo da un altro punto di vista, seduce e disgusta, attrae e respinge e inevitabilmente coinvolge.
«Vorrei», 28 settembre 2013