»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Limonov di Emmanuel Carrère

Marinda Marina

«Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello.
Ma chi non lo rimpiange è senza cuore
».
Vladimir Putin.

Qualche tempo fa, lessi un articolo su «La Repubblica» su Vladimir Putin. Limonov era citato fra i suoi peggiori nemici. È stato lì che ho messo a fuoco la cosa: Eduard Veniaminovich Savenko, che ha scelto per sé lo pseudonimo di Limonov, non è il personaggio di un romanzo di successo, ma una persona vera. Un uomo con una vita così drammaticamente piena, potente e così inequivocabilmente russa da sembrare una figura immaginaria. Prendete per esempio la regina protagonista de «La sovrana lettrice» di Alan Bennet. Chiunque leggendo la storia immagina che si stia parlando della Regina Elisabetta II, ma nessuno crede che quello di cui si legge sia capitato proprio a lei, che le parole che le si fanno pronunciare siano vere.

Ho letto «Limonov» di Emmanuel Carrère con lo stesso spirito. Come se il protagonista fosse, sì, una persona non nata da una penna, ma come avesse subito una metamorfosi letteraria, fosse stato trattato con enfasi, abbellimenti o abbruttimenti, prosa e fantasia, insomma una vita romanzata. Invece no. Limonov è certamente anche di più di quel che ne è stato scritto. E sinceramente solo ora mi son resa conto di chi sia l’autore, il francese Carrère, lo scrittore de «L’avversario», il romanzo-verità sulla tragica storia vera di Jean — Marc Faure, un padre di famiglia francese, uomo mite e affettuoso, ma prigioniero di una menzogna, che lo ha portato a commettere una strage della propria moglie, figli, genitori e persino del cane di famiglia. Anche quest’uomo, interpretato magnificamente da Daniel Auteuil nel film omonimo del 2002, seppur molto diverso è raccontato con una sorta di distacco, senza né indulgenza, né partecipazione o riprovazione, atteggiamento che a volte urta. Le azioni di Faure e soprattutto quelle di Limonov, anche disgustose, deprecabili, non condivisibili, meschine non vengono mai giudicate. Anzi l’autore finisce spesso per mettere in discussione se stesso e i propri valori occidentali.

Anche perché, i veri protagonisti del romanzo Limonov sono, oltre il personaggio principale, la Russia, la storia e il comunismo.

Quest’anno mi ero data come obbiettivo di non leggere solo scrittori anglo-americani o narrativa contemporanea ambientata in luoghi che conosco, autori che mi piacciono moltissimo perché attraverso storie, luoghi, intrecci a me affini, sviscerano mondi interiori di esseri umani eccezionali, ma anche comuni e normali per il luogo in cui vivono, come me.

E così ho scelto questo libro scritto da un francese, sulla vita di un russo che agisce e cerca di imporsi in un mondo lontanissimo da me. E se mai, in nessun momento son riuscita ad immedesimarmi in Edicka, nelle donne che ha amato (capire il modo ambiguo e decadente alla russa dei suoi rapporti sentimentali è molto difficoltoso), nelle scelte che ha fatto e che continua a fare, anche se non provo mai simpatia per lui, ho finito per capirlo, per capire fatti lontani e contorti relativi all’ex Unione Sovietica e alla Russia post comunista, cose che non avevo mai compreso perché per me rappresentavano eventi lontani e intangibili perché trasmessi in pochi minuti dal telegiornale, spesso in luoghi che a stento erano presenti nella mia mente occidentale. Comprendendo tutto questo, grazie a Carrère ho capito qualcosa in più su me stessa e sul mondo in cui vivo.

Alla fine sono contenta di aver letto questo romanzo-biografia così epica, anche se spesso in negativo, tutto sommato poetica a suo modo, inserita nel flusso di una storia che non è ancora finita e che posso seguire sui quotidiani. Limonov non è una persona a cui potrei mai voler bene, come invece mi capita spesso con le figure letterarie non completamente positive, come Barney Panofski dell’omonima versione o Don Gately di Infinite Jest. Eduard Limonov sembra privo di psicologia ed umanità. Invece no, è intriso di psicologia, umanità e profondità, ma in una maniera tutta russa e in più è terribilmente vero. Certo non me ne dimenticherò e alla fine una qualche ammirazione per il suo modo violento, ma coerente di cercare di essere unico e integro, di fare la storia del suo paese e del mondo — come mai riuscirei nemmeno ad immaginare di fare io — mi è rimasta.

Ma non vorrei mai averci a che fare.

… Limonov […] è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio. Comunque, […] ho pensato che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale.

… Non era un romanziere: sapeva raccontare solo la sua vita, ma la sua vita era appassionante e lui la raccontava bene, con uno stile semplice, concreto, senza vezzi letterari, con l’energia di uno Jack London russo. … Parlava con beffarda nostalgia di quel periodo dell’Unione Sovietica come di un paradiso per hooligan scafati e non di rado, al termine di una cena, quando eravamo tutti ubriachi tranne lui, che reggeva l’alcol magnificamente, tesseva le lodi di Stalin, cosa che attribuivamo al suo gusto per la provocazione.

Non voglio paralare né di neonazisti né di sterminio dei presunti esseri inferiori … ma del modo in cui ciascuno di noi si rassegna al fatto ovvio che la vita è ingiusta e che gli uomini non sono tutti uguali: più o meno belli, più o meno dotati, più o meno attrezzati per la lotta. Nietzsche, Limonov e questa istanza che io definisco «il fascista» dicono in coro: «È la realtà, è il mondo che è così». «L’uomo che si ritiene inferiore, superiore anche semplicemente uguale a un altro non capisce la realtà». Forse quest’idea ha senso soltanto nel quadro di una dottrina che considera l’«io» un’illusione, e chi non vi aderisce potrebbe addurre mille contro esempi; tutto il nostro sistema di pensiero si fonda su una gerarchia di meriti per cui il Mahatma Gandhi è una figura umana più elevata, diciamo, del pedofilo e assassino Marc Dutroux. Scelgo di proposito un esempio incontrovertibile, poiché molti casi sono discutibili, i criteri variabili, e del resto gli stessi buddhisti insistono sulla necessità di distinguere, nella condotta di vita, l’uomo puro dal corrotto. Tuttavia, e benché io stesso stabilisca di continuo gerarchie del genere, e come Limonov non possa incontrare uno dei miei simili senza chiedermi più o meno consapevolmente se sono al di sopra o al di sotto di lui e sentirmi quindi sollevato o mortificato, penso che quest’idea — ripeto: «L’uomo che si ritiene superiore, inferiore o anche uguale a un altro non capisce la realtà» — rappresenti il vertice della saggezza e non basti una vita a farsene permeare, ad assimilarla, a interiorizzarla in modo che cessi di essere un’idea e plasmi invece il nostro modo di vedere e di agire in ogni situazione. Scrivere questo libro rappresenta per me un modo bizzarro di lavorarci su.

Ucraina 1943‒1967

Concepito nel terribile maggio 1942, al tempo delle più cocenti sconfitte, Eduard nasce il 2 febbraio 1943, venti giorni prima della capitolazione sesta armata tedesca e del rovesciamento delle sorti della guerra. Gli ripeteranno che è figlio della vittoria e che sarebbe nato in un mondo di schiavi se uomini e donne del suo popolo non avessero sacrificato le loro vite per non abbandonare al nemico la città che portava il nome di Stalin. Più tardi la gente parlerà male di Stalin … ma per la generazione di Eduard, Stalin resterà per sempre il capo supremo dell’Unione nel momento più tragico della storia, l’uomo che ha sconfitto i nazisti …

Eduard capisce allora una cosa fondamentale, ossia che ci sono due categorie di persone: quelle che si possono picchiare e quelle che non si possono picchiare, non perché siano più forti o meglio allenate, ma perché sono pronte a uccidere. È questo il segreto, l’unico, e il bravo piccolo Eduard decide di passare nella seconda categoria: sarà un uomo che nessuno colpisce perché tutti sanno che è capace di uccidere.

«Agisci con coraggio e decisione, senza aspettare che ci siano tutte le condizioni ideali, perché le condizioni ideali non esistono».

… è sufficiente a farlo considerare un poeta a pieno titolo. È un titolo invidiabile, perché, anche se si conduce una vita di miseria, protegge dalla degradazione insita in una vita di miseria …

Mosca 1967‒1974

Il grande adagio dell’epoca, equivalente al nostro «lavorare di più per guadagnare di più», era: «Noi facciamo finta di lavorare e loro fanno finta di pagarci». Non è uno stile di vita esaltante, ma comunque funziona: si tira avanti. Non ci sono pericoli reali, a meno che uno non sia un vero piantagrane. Tutti se ne sbattono di tutto e, chiusi in cucina, rifanno dalle fondamenta un mondo che, a meno di non chiamarsi Solženicyn, si è certi resterà immutato per secoli, perché la sua ragion d’essere è l’inerzia.

Il fatto è che a Eduard non piacciono i culti di cui non sia lui il destinatario. Pensa che l’ammirazione destinata ad altri sia sottratta a lui.

Per noi che andiamo e veniamo prendendo aerei come e quando ci pare, è difficile capire che per un cittadino sovietico la parola «emigrare» indicava un viaggio senza ritorno. … Parlo di quelli che emigrano legalmente. Negli anni ’70 … Era difficile, ma non impossibile, ma chi presentava domanda sapeva che, se fosse stata accolta, non sarebbe mai più potuto tornare in Unione Sovietica. Neanche di passaggio, neanche per una breve visita, neanche per un bacio alla madre morente. Era una scelta ardua, e infatti non erano molti quelli che decidevano di partire, cosa che probabilmente il potere si aspettava … Gli ultimi giorni erano strazianti … I gesti ripetuti migliaia di volte senza badarci e che ora Limonov si accorgeva con una sorta di stupore di compiere per l’ultima volta. Ogni particella di quel mondo così familiare sarebbe divenuta presto, e per sempre, irraggiungibile: ricordo, pagina voltata che non si potrà rileggere mai più, motivo di incurabile nostalgia. Abbandonare quella vita, la vita conosciuta di sempre, per un’altra da cui si sperava molto, ma di cui non si sapeva quasi nulla, era come morire. E quelli che restavano, se non vi maledicevano, si sforzavano di mostrarsi gioiosi, ma lo erano allo stesso modo dei credenti che accompagnano i congiunti fin sulla soglia di un mondo migliore. Dovevano rallegrasi … o piangere perché non li avrebbero mai più rivisti? Nel dubbio si beveva.

New York 1975‒1980

Un francese che veda New York per la prima volta non rimane stupito, caso mai si stupisce del fatto che la città somigli così tanto a quella che ha visto nei film. Eduard e Tanja, figli della Guerra Fredda e di un paese in cui i film americani sono proibiti, è tutto nuovo e meraviglioso.

… Eduard si domanda quali libri possano venire alla luce in quell’ambiente così calmo, così confortevole e, ai suoi occhi, così morto. Per scrivere cose interessanti, pensa Eduard, bisogna innanzitutto vivere cose interessanti: conoscere le avversità, la povertà, la guerra …

Il «Ruskoe Delo» è un quotidiano in lingua russa che esce dal 1912. I suoi uffici (sulla Broadway) occupano un piano di un palazzo fatiscente. L’atmosfera è quieta polverosa, molto russa … La bestia nera per tutti loro è Nabokov, non tanto perché Lolita li abbia scandalizzati, ma perché Nabokov non scrive più romanzi di esuli per esuli, ha voltato le spalle al loro piccolo mondo stantio. Per odio di classe e disprezzo per la letteratura per letterati, Eduard non ama Nabokov più di loro, ma per niente al mondo vorrebbe odiarlo per loro stesse ragioni, né perdere il suo tempo fra quei muri che puzzano di morte e piscio di gatti.

Per farsi conoscere, uno scrittore può grosso modo, scegliere fra inventare storie, raccontarne di vere o dare la propria opinione su come va il mondo. Eduard non ha nessuna fantasia, le cronache che cerca di piazzare sui delinquenti di Char’kov e l’underground moscovita non interessano a nessuno, e i versi poi, men che meno. Rimane la carriera di polemista. I’assegnazione del premio Nobel per la pace a Sacharov offre a Eduard l’occasione di fare il suo esordio.

… aspetta il giorno in cui entrerà nel salotto buono dei ricchi dalla porta principale, si scoperà le loro figlie e verrà pure ringraziato. Sa esattamente cosa passa per la testa di un loser, che esasperato, prende un’arma e spara nel mucchio ma, dal momento che è capace di scriverlo, lui non è quel loser ed è escluso che lo sia il suo doppio sulla carta.

Parigi 1980–1989

Più leggevo (Il poeta russo preferisce i grandi negri, di Edicka Limonov ndr) e più mi sembrava di essere fatto di una materia sbiadita e mediocre, e di essere destinato a recitare nel mondo la parte della comparsa, un’amareggiata e invidiosa che sogna ruoli da protagonista ben sapendo che non li avrà mai perché le mancano il carisma, la generosità, il coraggio, tutto tranne la spaventosa lucidità dei falliti.

Eduard seguiva quello che accadeva in URSS con un certo distacco. Pensava che la sua patria fosse in ibernazione sotto la banchisa, che a lui convenisse restarsene lontano, ma anche che l’URSS restasse tetra e potente, come l’aveva sempre conosciuta e questo pensiero lo rassicurava.

Il totalitarismo consiste nel dire alle persone che quello che vedono nero è bianco e le costringe non soltanto a ripeterlo ma, a lungo andare, né più né meno a crederci. Da questo aspetto deriva la qualità fantastica dell’esperienza sovietica, allo stesso tempo mostruosa e mostruosamente comica… Il socialismo integrale non è un attacco alle storture del capitalismo, ma alla realtà stessa. È un tentativo di sopprimere il mondo reale, un tentativo a lungo termine, ostinato, destinato a fallire ma che per un lungo tempo riesce a creare un mondo surreale fondato su questo paradosso: l’inefficienza, la violenza e la povertà sono presentate come il bene supremo. La soppressione della realtà passa anche dalla soppressione della memoria.

Solzenicyn lo aveva annunciato: appena si comincerà a dire la verità verrà giù tutto.

All’»Idiot» erano contro tutto ciò che era a favore e a favore di tutto ciò che era contro, con un unico credo: noi siamo scrittori, non giornalisti, non giornalisti; le nostre opinioni sono meno importanti del talento con cui le esprimiamo. Lo stile contro le idee.

Mosca Char’kov, dicembre 1989

Un cattivo figlio? Forse, ma intelligente e quindi senza pietà. La pietà rammollisce, la pietà avvilisce; e la cosa terribile è che da quando ha rimesso piede nel suo paese si sente invadere, oltre che dalla collera, dalla pietà. … In passato il pensiero di soffrire per il proprio paese gli sembrava grottesca, eppure ora soffre.

Raisa (la madre di Limonov) nota alcune persone che brandiscono cartelli con un 6 con una croce e chiede:
«Che cosa significano quei sei?»
«Significano — le spiega il figlio — che vogliono abrogare l’articolo 6 della costituzione: quello sul partito unico». «E che cosa vorrebbero allora?»
«Be’, che ci possano essere più partiti, come in Francia».
Raisa lo guarda inorridita. Più partiti le sembra una barbarie, come far pagare il gas.

Vukovar, Sarajevo, 1991‒1992

In due ore di guerra, pensa Eduard, si impara sulla vita e sugli uomini più che in quattro decenni di pace. La guerra è sporca, la guerra non ha senso, ma cazzo!, neanche la vita civile ha senso per quanto è tetra e ragionevole a forza di frenare gli istinti. La verità che nessuno osa dire è che la guerra è un piacere, il più grande dei piaceri, altrimenti finirebbe subito. Come l’eroina: provata una volta non scene può più fare a meno.

I serbi, fanatici aizzati a Belgrado da Milosevic e in Bosnia dal losco Radovan Karadzic, erano senza ombra di dubbio i cattivi della situazione, mentre i musulmani bosniaci, erano vittime di un’odiosa aggressione e questa parola non era ancora abbastanza forte, perché presto le sarebbe stata preferita «genocidio».

Quei musulmani biondi con gli occhi azzurri, che ascoltavano musica classica in appartamenti zeppi di libri erano musulmani ideali, ci sarebbe tanto piaciuto averne di simili da noi e se Sarajevo era diventato il simbolo dell’Europa multietnica che avremmo voluto, il merito era soprattutto loro.

Se mi considero incapace di ogni violenza gratuita, riesco pure a immaginare facilmente — forse troppo — le ragioni o le concatenazioni di eventi che in altre epoche avrebbero potuto spingermi al collaborazionismo, allo stalinismo o alla rivoluzione culturale. Forse tendo anche troppo a chiedermi se fra i valori accettati senza discutere dal mio ambiente — i valori che le persone del mio tempo, del mio paese e della mia classe sociale giudicano irrinunciabili, eterni e universali — non possa essercene qualcuno che un giorno risulterà grottesco, scandaloso o semplicemente sbagliato.

Mosca, Parigi, Repubblica Serba di Krajina, 1990–1993

Le nostre categorie politiche mal si prestavano alla situazione russa dove «destra» e «sinistra» non significavano un granché.

Per un milione di dritti che hanno iniziato ad accumulare freneticamente quattrini grazie alla terapia shock, centocinquanta milioni di fessi sono caduti in miseria.

L’aspettativa di vita del maschio russo è passata dai sessantacinque anni del 1987 ai cinquantaquattro nel 1993. Il triste spettacolo delle file in attesa davanti ai negozi vuoti, caratteristico dell’età sovietica, è stato sostituito da quello dei vecchietti che tremano di freddo nei sottopassaggi dove cercano di vendere le poche cose che gli sono rimaste. Tutto quello che può essere venduto per sopravvivere viene venduto. Un povero pensionato venderà un chilo di cetriolini, una copriteiera … un generale venderà carri armati o aerei — alcuni non si sono fatti scrupoli e hanno aperto intere compagnie aeree private con gli aerei dell’esercito, intascando i profitti; un giudice metterà in vendita le sue sentenze, un poliziotto il silenzio, impiegato venderà un timbro su un documento, un veterano dell’Afganistan le sue competenze di killer…

«Devi capire che la scelta che avevamo di fronte non era fra una transizione ideale all’economia di mercato e una transizione con infiltrazioni criminali. La scelta era fra quest’ultima e la guerra civile».

La democrazia forse è salva, ma quella parola è svuotata di ogni significato. Nessuno sa più chi sono i buoni e chi i cattivi, chi i progressisti e chi i reazionari. Sinjavskij, dissidente storico, profondamente democratico, uomo onesto e perbene, … dice: «La cosa terribile è che ora la verità mi sembra stare dalla parte di coloro che ho sempre considerato miei nemici».

Le elezioni le vinceranno El’cin e Gajdar, ma Zirinovskij otterrà comunque un quarto dei voti. Se Eduard si fosse candidato nella sua lista ora sarebbe deputato. Avrebbe potuto farlo, Zirinovskij lo avrebbe accolto a braccia aperte, ma non lo ha fatto per il solito motivo: preferisce essere il capo di un partito che raccoglie tre persone che essere un seguace di uno che ne raccoglie milioni. Eduard non aspetta neanche la proclamazione dei risultati e se ne torna, furibondo e umiliato a Parigi.

Mosca, Altaj, 1994‒2001

Zachar Prilepin si avvicina ai quaranta, vive con moglie e figli a Niznij Novgorod, dove dirige l’edizione locale di «Novaja Gazeta», il giornale indipendente per cui scriveva Anna Politkovskaja. … è un nazbol, un militante del partito Nazionalbolscevico (il partito fondato da Limonov).

«Bisogna capire che «Limonka» e i nazbol hanno rappresentato la controcultura della nuova Russia».

… Quando è crollato il comunismo Zachar e i suoi amici avevano circa 15 anni. La loro infanzia era stata più bella dell’adolescenza e della prima età adulta. Quei giovani ricordavano con tenerezza e nostalgia il tempo in cui le cose avevano un senso, il denaro era poco, ma non c’erano nemmeno molte cose da comprare, le case erano ben tenute e un ragazzino poteva guardare con ammirazione il nonno perché era stato il miglior trattorista del kolchoz. Avevano vissuto la sconfitta e l’umiliazione dei genitori — gente modesta ma orgogliosa di ciò che era — ridotti in miseria e privati anche dell’orgoglio.

Limonov non conosceva le vie di mezzo e la prima volta che vide Zachar pensò: «È un individuo magnifico capace di atti mostruosi».

… La Cecenia… I generali avevano venduto al mercato nero enormi quantità di armi, munizioni e soprattutto mezzi corazzati e avevano bisogno di un grande conflitto in un luogo qualsiasi per far apparire come distrutto in guerra il materiale sottratto. … Ma i Ceceni, fedeli alla fama di coraggio e crudeltà di cui godono da due secoli, hanno reagito con una guerriglia senza quartiere …

I quarantamila giovani come Zachar, richiamati sotto le armi con la promessa di una guerra lampo vittoriosa e di un trionfale ritorno a casa si sono così ritrovati impantanati in una situazione non meno orribile di quanto lo era l’Afganistan per i loro padri.

Cinque anni prima El’cin ha dichiarato fuori legge il partito comunista. Sembrava che si fosse chiuso per sempre il terribile e grandioso esperimento condotto sul genere umano in Unione Sovietica. Ora, dopo soli cinque anni di vita democratica, tutti sondaggi sono concordi e bisogna arrendersi alla sconcertante evidenza: la gente non ne può più della democrazia, del mercato e dell’ingiustizia che si portano dietro, e si appresta a votare in massa per il partito comunista.

Limonov deve pur dire ai suoi nazbol per chi votare, e allora li sorprende con la teoria secondo cui più si precipita nel caos meglio è per la rivoluzione. Quindi: El’cin. … In realtà, in questo momento hanno tutti l’impressione che Limonov sia fuori di testa, ed è vero: è fuori di testa perché Natasha lo ha appena lasciato.

«Se un artista non capisce per tempo che deve dedicarsi a qualcosa di più elevato di se stesso, come un partito o una religione, allora lo attende un miserabile destino fatto di sbronze, trasmissioni televisive, pettegolezzi, meschine rivalità e per finire un infarto o un cancro alla prostata». La religione la tiene da parte per il futuro. Il partito ce l’ha, e anche se non sa bene che farne è comunque qualcosa, una forza, e per misurare questa forza decide di organizzarne un congresso.

… Limonov si sente un liberatore, non più di russi ottusi ma di montanari uzbeki o kazaki che dopotutto hanno, anche loro, motivo di avercela con i dittatori locali … Ora stravede per i musulmani e allarga questa improvvisa infatuazione persino ai ceceni, di cui esalta la frugalità, il talento per la guerriglia e una certa eleganza nella crudeltà. Bisogna dare atto di una cosa, a questo fascista: gli piacciono e gli sono sempre piaciuti soltanto quelli che sono in posizione di inferiorità. … Il suo percorso, per quanto ondivago possa sembrare, ha una sua coerenza perché Eduard si è schierato sempre, senza eccezioni, dalla loro parte.

Steso sulla branda, pensa ai morti. A tutti quelli che ha conosciuto nel corso della sua vita e che sono morti. Cominciano ad essere un bel po’. Pensa che se facesse il conto i morti supererebbero i vivi, ma non ha il coraggio di farlo. Non ha nemmeno voglia di dormire, soltanto di starsene li e non muoversi più. Pensa che morirà anche lui, e stranamente è come se fino a quella sera non ci avesse mai pensato. Ha spesso fantasticato su come gli sarebbe piaciuto morire: in combattimento, oppure fucilato, giustiziato per ordine di un tiranno che avrebbe sfidato fino all’ultimo respiro, ma adesso si rende conto che tutte quelle fantasie non hanno nulla a che vedere con la certezza che si è impadronita di lui: sta per morire.

Lefortovo, Saratov, Engel’s, 2001‒2003

In prigione, Eduard: «Appartengo a quella categoria di persone che non si sentono perdute in nessun luogo. Vado verso gli altri, gli altri vengono verso di me. Le cose si aggiustano naturalmente».

Mosca 2009

Putin ripete in tutte le salse una cosa che i russi hanno assolutamente bisogno di sentirsi dire e che si può riassumere così:

«Nessuno ha il diritto di dire a centocinquanta milioni di persone che settant’anni della loro vita, della vita dei loro genitori e dei loro nonni, che ciò in cui hanno creduto, per cui hanno lottato e si sono sacrificati, l’aria stessa che respiravano, nessuno ha il diritto di dire che tutto questo è stato solo una merda. Il comunismo ha fatto delle cose orribili d’accordo, ma non era uguale al nazismo. L’equivalenza tra i due che gli occidentali danno ormai per scontata, è un’infamia. Il comunismo è stato qualcosa di grande, di eroico, di bello, qualcosa che credeva nell’uomo e gli dava fiducia. Il comunismo aveva in se una parte di innocenza, e nel mondo spietato che è venuto dopo, i russi lo associano confusamente alla propria infanzia, a ciò che commuove quando i ricordi di infanzia riaffiorano».

Come sia la vita di Eduard Veniaminovich Savenko, in arte Limonov dopo il 2009, sotto l’odiato e immarcescibile Putin è facile saperlo.

idal Corriere della sera, 2 gennaio 2013: La repressione del dissenso in Russia — Mosca, Limonov arrestato assieme a 25 attivisti — Il dissidente e scrittore fermato per corteo non autorizzato.

Circa 25 persone, tra cui il noto scrittore e dissidente Eduard Limonov, sono state arrestate a Mosca per aver tentato di tenere una manifestazione non autorizzata a piazza Triumfalnaja. Nella piazza si erano radunate tra 50 e 100 persone. Da circa due anni gli attivisti cercano di protestare il 31 di ogni mese, in riferimento all’articolo 31 della Costituzione russa che garantisce la libertà di riunione. Le autorità hanno però sempre negato l’autorizzazione per queste manifestazioni.


«L'Undici», №45, luglio 2013

Eduard Limonow

Original:

Marinda Marina

Limonov di Emmanuel Carrère

// «L'Undici» (it),
№45, luglio 2013