»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Limonov — Emanuele Carrère

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I Contenuti

Limonov non è un personaggio inventato. Esiste davvero: «è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio» si legge nelle prime pagine di questo libro.

E se Carrère ha deciso di scriverlo è perché ha pensato «che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale».

La vita di Eduard Limonov, però, è innanzitutto un romanzo di avventure: al tempo stesso avvincente, nero, scandaloso, scapigliato, amaro, sorprendente, e irresistibile. Perché Carrère riesce a fare di lui un personaggio a volte commovente, a volte ripugnante – a volte perfino accattivante. Ma mai, assolutamente mai, mediocre.

Che si trascini gonfio di alcol sui marciapiedi di New York dopo essere stato piantato dall'amatissima moglie o si lasci invischiare nei più grotteschi salotti parigini, che vada ad arruolarsi nelle milizie filoserbe o approfitti della reclusione in un campo di lavoro per temprare il «duro metallo di cui è fatta la sua anima», Limonov vive ciascuna di queste esperienze fino in fondo, senza mai chiudere gli occhi, con una temerarietà e una pervicacia che suscitano rispetto.

Ed è senza mai chiudere gli occhi che Emmanuel Carrère attraversa questa esistenza oltraggiosa, e vi si immerge e vi si rispecchia come solo può fare chi, come lui, ha vissuto una vita che ha qualcosa di un «romanzo russo».

La Recensione

Il racconto della vita di Limonov è sospeso a metà tra biografia e romanzo, tra saggio sulla Russia contemporanea e reportage di attualità, con accenti di autobiografia, e in esso l'autore mescola alle testimonianze in presa diretta anche memorie e aneddoti personali, nella forma di una biografia fortemente partecipata.

Purtroppo in italiano il titolo — che è anche il soprannome del protagonista e in russo viene da 'limonka' ossia granata, bomba a mano, nome usato anche per una fanzine di avanguardismo politico a lui legata — non rimanda al campo semantico originario, quello del conflitto, ma a qualcosa di molto più leggero.

In ogni caso la vita di Eduard Savenko, in arte Limonov, è materia da letteratura.

In apertura l'autore, che conosce e a modo suo stima anche il personaggio di cui racconta la vita, pone le basi per un interessante parallelo tra Limonov e un protagonista della Russia e della politica internazionale, il presidente-quasi-autocrate Vladimir Putin. Entrambi provengono dallo stesso ambiente sociale, sono figli di agenti del Keghebè e soffrono, anche in senso materiale, del disfacimento dell'URSS e del blocco comunista, rimanendo spaesati e privi di punti di riferimento e di valori a cui attaccare il proprio orgoglio nazionale e la propria identità.

La differenza sta nel fatto che mentre Limonov brama il potere soprattutto per narcisismo, in Putin, che ci arriva quasi per cooptazione degli oligarchi più influenti dell'era Eltsin, almeno secondo l'autore, il narcisismo è un prodotto del potere, e non una sua causa.

Entrambi però, su fronti opposti, condividono la memoria positiva degli anni della loro infanzia sovietica:

«Chi vuol restaurare il comunismo è senza cervello, chi non lo rimpiange è senza cuore»
(Vladimir Putin)

Limonov, sempre secondo l'autore, certo condivide questo aforisma di Putin e certo del politico russo invidia il ruolo di padre di una patria che senza di lui sembrava diretta a cedere il ruolo di grande potenza che si era ritagliato grazie al Comunismo sovietico.

La sua personalità a tutto tondo, bellicista perchè in guerra col mondo, interventista, artistoide ed egocentrica presenta dei lati dannunziani: dall'esibizionismo narcisista e un po' metrosexual a una forte dose di ambiguità sessuale, dall'impegno militarista sfrontato e scevro di ogni remora e regola morale e politica alla capacità di comunicare e crearsi un seguito ideale, da una forma alquanto complessa, a volte tortuosa, di coerenza a una spregiudicata e camaleontica capacità di adattamento.

Vicino al presidente Putin per alcuni aspetti, in particolare la nostalgia dell'orgoglio nazionale sovietico, e insieme suo rivale politico, si ritrova ad essere dissidente soprattutto per la forte volontà di emergere.

In qualche misura, nelle sue debolezze e nei suoi spigoli, Limonov incarna il tipo dell'ultra-uomo nietzschiano e della volontà di potenza, e la sua agitata vita interiore ed esteriore produce un'immagine, artefatta e spontanea insieme, che può rappresentare bene una certa parte della storia spirituale russa. Del resto Càrrere lo paragona spesso a dei personaggi usciti dalla penna di Dostoevskij.

Brevemente vale la pena di sottolineare che — e questo potrebbe essere un pregio e insieme una debolezza — il carattere di Limonov non è mai, nella narrazione, del tutto scisso dalla memoria personale del suo biografo francese. L'autore non manca da un lato di ricordare come il loro rapporto di conoscenza sia stato fondamentale nella scelta di scrivere e, dall'altro, di rimarcare come, nel suo stesso pensiero, luci e ombre del protagonista si presentino al giudizio in un'ampia gamma di sfumature.

Il percorso di vita che il poeta dissidente russo sceglie è quello dell'impegno in prima persona e in prima fila, e le aspirazioni letterarie sono un tramite per arrivare alla gloria e occupare uno spazio sotto le luci della ribalta. Il riscatto nazionale e la rinascita dell'orgoglio russo, con elementi di panslavismo, passano attraverso la fuga dall'URSS sonnolenta degli anni '70 di Breznev, la crisi e il fallimento di ogni prospettiva artistica nella Manhattan che lo accoglie si, ma come fenomeno da baraccone e al più come domestico, e infine con il ritorno all'Europa degli anni 80, in particolare alla Francia dove riesce a inserirsi nel panorama intellettualoide della perestrojka.

Carrère, con l'abilità di uno sceneggiatore professionale, raccoglie in prima persona e racconta le esperienze del suo protagonista in maniera esemplare, unendo momenti lirici e aneddoti sordidi, mettendo in mostra tutti gli angoli nascosti della sua policroma personalità ed evidenziandone contraddizioni e lati oscuri.

Ma quel che è più importante riesce a cucire in modo perfetto, senza eccessi e senza sbavature, il ritratto di un dissidente e artista con il ritratto di una nazione. Si rimane nell'ambito del romanzo di formazione e nello stesso tempo, come in un saggio di geopolitica, la storia, quella recente degli ultimi due decenni del crollo dell'URSS, dell'era di Eltsin e degli oligarchi e infine della democrazia di Putin dalle forti venature di cesarismo, irrompe con tutta la sua forza nella narrazione.

Gli spazi della prosa si adattano alla miseria della vita da clochard in squallidi monolocali newyorchesi, ai rapporti omosessuali consumati per sete di avventura e di contatto umano e sbandierati con fierezza da artista, al rapporto masochista con le donne, soprattutto Natascia, alcolizzata e ninfomane, e uniscono le follie di sgangherate spedizioni nei Balcani in fiamme all'ardore patriottico, che lo porterà a fondare un partito d'opinione e a scontare una condanna per terrorismo in un moderno gulag come oppositore di un regime, lui che aveva sempre odiato la retorica della dissidenza di Brodsky e Solzenitsyn.

La parte più coinvolgente è appunto quella del prigioniero politico, nella quale Limonov riesce a soddisfare il suo bisogno di martirio testimoniando di essere presente e protagonista del suo tempo. Nelle carceri trova compimento il percorso iniziato nelle sperdute latitudini della Siberia alla ricerca di un rapporto totale con la sua terra e riceve una sorta di illuminazione mistica.

Ma il finale — che del resto è solo provvisorio: Limonov a settant'anni suonati è ancora vivo e vegeto, nonchè politicamente arzillo — non è trionfale nè consolatorio: nonostante tutto, Eduard è uno sconfitto, non è una maschera tragica e neppure gli è riservato il riconoscimento del sacrificio, in una nazione che sembra votata a un torpore etilico e fatalista di fronte agli sconvogimenti della storia.

Rimane una figura titanica e incongrua sullo sfondo sterminato e incomprensibile delle steppe dell'Asia centrale, che emerge e si confonde tra i cieli pesanti come cappe e orizzonti irraggiungibili e insieme quotidiani.


«La Stamberga dei Lettori», 27 giugno 2013

Eduard Limonow

Original:

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Limonov — Emanuele Carrère

// «La Stamberga dei Lettori» (it),
27 giugno 2013