Vodka & Limonov
Il caso. La biografia di Emmanuel Carrère ha conquistato la critica L'antieroe dalle confuse idee nazi-bolsceviche, quasi un D'Annunzio postatomico-punk. La sua vita alla Dumas diventa un romanzo più che d'avventura.
Limonov. E basta. Non serve un nome di battesimo e nemmeno un titolo come si deve, al libro dello scrittore francese Emmanuel Carrère (Adelphi, 356 pagine, 19 euro) per raccontare la storia di una vita tanto stupefacente che non si capisce se la qualifica di libro dell'anno 2012 dipenda più dalla bravura dell'autore o dalla qualità del soggetto. Ma chi è Eduard Veniaminovic Savenko, nato sovietico d'Ucraina, cresciuto cosmopolita (o senza patria), diventato famoso semplicemente come Limonov, oggi il più naif tra i nemici del regime nella Russia di Putin? Un borderline di lusso, un ribelle, un D'Annunzio postatomico-punk. Poeta e scrittore amato dalle èlites radical-chic, soldato, mantenuto, barbone, galeotto, aspirante guerrigliero, politico dissidente, rivoluzionario dalla parte sbagliata: sempre nella versione più maledettamente ambigua e scorretta della «professione», ma sempre genialmente originale. Al punto da meritare una biografia mentre lui, imperterrito, trova ancora il modo a settant'anni suonati di farsi arrestare alle manifestazioni di protesta, di non provare alcun remora nell'inventarsi una soluzione eroica della quotidianità. Limonov, classe 1943 come Mick Jagger e Jim Morrison. A suo modo è anche lui una rockstar, in qualsiasi cosa gli capiti fare: rockstar della letteratura underground, idolo dei detenuti quando lo rinchiudono in carcere, dio-in-terra per i ragazzini innamorati della sua strampalata creatura politica, il nazi-bolscevismo, perverso cultore di pratiche sessuali alternative, invidiato amante di strepitose modelle. Un esemplare unico di contraddizioni, un incursore su limiti opposti: fascista e comunista insieme, affascinato dall'estetica del colpo di Stato e volontario con la soldataglia di Arkan nell'assedio di Sarajevo, senzatetto a New York e poi maggiordomo di un miliardario in un lussuoso appartamento di Manhattan, a suo agio tanto nel jet-set internazionale quanto nelle colonie penali russe. Una vita avventurosa, e infatti la biografia di Carrère è un libro d'avventura, «un po' alla Dumas» come lo definisce l'autore. Eduard cresce a Charkov, Ucraina, in un panorama di casermoni a schiera e di ragazzi ai margini della società, sbronze di vodka, coltello sempre in tasca, stupri, notti in galera, il gelo dei lunghi inverni che indurisce i cuori e li sbatte contro il muro di una realtà senza futuro. Ogni tanto ci scappa il morto e un amico che parte per anni di Siberia. È un mondo per cui prova amore e odio: è una palestra di vita che seleziona i più duri ma frustra le sue aspirazioni artistiche e non riconosce le sfumature di uno spirito sensibile. Legge romanzi e scrive poesie con lo stesso trasporto con cui maneggia il pericolo e sfida la polizia. ESTREMI che nella sua figura si toccano, combattono, si trasformano in creatività istintiva. Vince un concorso di poesia a 14 anni e quella sera partecipa a una bravata di bulli che finisce male, con uno stupro. Quando, cinque anni dopo, sente il vuoto attorno a sè — un amico giustiziato e un altro nei gulag — si taglia le vene per la disperazione e finisce all'ospedale psichiatrico dove un medico comprensivo gli indica come terapia, una volta dimesso, la frequentazione di un circolo letterario. Eduard segue il consiglio, l'ambiente gli sta stretto ma gli consente di trasformarsi da teppista sregolato in bohémien un po' scalcinato ma (di nuovo) ambizioso. Charkov ormai è troppo piccola. Nel 1967 va a Mosca, non prima di essersi affrancato dalle sue origini con un un soprannome che sembra un programma di vita: Limonov. Da limon (limone) e limonka (granata, bomba a mano). Carrère segue passo per passo la biografia di Eduard e la trasforma in romanzo, fra ascese e discese sempre vertiginose e comunque controcorrente. A Mosca Limonov diventa, all'inizio degli anni Settanta, un'icona dell'ambiente letterario underground. Gira in jeans bianchi (che lui stesso produce e commercia) e si accompagna a Tanja, una ragazza dalla bellezza mozzafiato. «Se attorno al 1970», scrive Carrère, «nel più tetro grigiore dell'era brezneviana, c'è stato in Unione Sovietica qualcosa di simile al glamour, ebbene Eduard e Tanja ne sono stati l'incarnazione». Spiati, sgraditi ma soprattutto irrequieti, i due decidono che è giunto il momento di compiere il viaggio che allora era senza ritorno: scelgono l'Occidente. Vanno a New York. IN AMERICA Eduard non è il tipo che si lascia incantare dai salotti chic frequentati dagli artisti dissidenti — Nureyev, Baryshnikov, Brodskij. Come sempre, vede e riparte. Anche qui la sua esistenza tocca i confini di esperienze estreme. Piantato in asso da Tanja, emarginato dall'ambiente che lui stesso ha rifiutato, finisce sulla strada e si offre all'amore omosessuale. Dorme in posti immondi fino a quando il caso lo domicilia da un riccone che lo assume come maggiordomo e gli fa conoscere amici importanti, Evtushenko e Ferlinghetti. Intanto scrive. Scrive soprattutto sulle panchine dei parchi. Il poeta russo preferisce i grandi negri, Diario di un fallito: c'è dentro la sua vita, è roba per palati forti. O per intellettuali dal gusto un po' eccentrico, come l'editore che decide di pubblicarlo in Francia e le élite che lo eleggono nuova stella della letteratura underground. Lui, che aspettava impaziente la grande occasione, capisce che il momento è arrivato e si precipita a Parigi. È lì che lo conosce Carrère, scrittore e slavista. EDUARD detesta il politicamente corretto in tutte le sue declinazioni, dai dissidenti famosi a Gorbaciov. Quando, ormai scrittore conosciuto, gli capiterà di tornare in Russia dopo 15 anni, troverà un altro mondo e un altro modo di mettersi nei guai, per esempio schierandosi armi in pugno dalla parte dei golpisti «nostalgici» Kasbulatov e Rutskoi — saranno disinnescati dal celebre intervento di Eltsin sul carroarmato — e poi trasportando questa sua nuova vena militaresca a sostegno dei fratelli slavi del sud. Peccato che questi coincidano con il peggio che in quel momento passa la stirpe: la soldataglia serba di Arkan, impegnata a ripulire i Balcani da croati e musulmani. Eduard non si fa troppe domande. Quando sceglie una parte, è pronto a recitarla fino in fondo. Lo stesso Carrère è in imbarazzo, di fronte a questa pagina cupa nella vita del suo personaggio. È qui che nel nostro autore nasce il quesito che lo accompagnerà senza risposta anche dopo il completamento della sua opera: chi è Limonov? «Lui si vede come un eroe», dice Carrère, «ma lo si può anche considerare una carogna: io sospendo il giudizio». Proletario e paladino degli ultimi. Elitario e feroce con i deboli. Romantico e futurista. Un pantheon di riferimento che spazia da Lenin a Mishima, da Hitler a Che Guevara, da Meister Eckhart a Majakovskij. Comunista e fascista. «Il suo pensiero politico è confuso», ammette Carrère. Lo si capirà dalla sua creatura: il partito nazionalbolscevico, la bandiera hitleriana del Terzo Reich con la falce e martello al posto della svastica, un derivato provocatorio del caos ideologico nella Russia post-comunista. Ovviamente alleato sempre con la parte sbagliata. Mai, comunque, con quella del potere. L'ultimo Limonov è il personaggio sublimato dall'ultima esperienza estrema: il carcere per aver organizzato una sorta di campo paramilitare nelle gelide steppe dell'Altai. Dovrebbe scontare 14 anni, lo tirano fuori perché uno scrittore famoso nella Russia di Putin può fare più danni in galera che fuori. Come sempre, vive ai confini. Potrebbe godersi una serena terza età benestante da scrittore e intellettuale apprezzato, invece vive da povero ed emarginato e lo si trova ancora sulle barricate della politica, con uno sguardo luciferino e sul mento il pizzetto alla Lenin. Il Capodanno scorso l'hanno messo dentro un'altra volta. «Io e miei ragazzi che ci facciamo arrestare ogni 31 del mese per rivendicare il diritto a manifestare liberamente, siamo gli unici e veri oppositori del regime», ha detto mentre lo portavano via. Il libro di Carrère era già un best seller. «Si può arrestare il personaggio di un romanzo?» titolava un giornale. Con Limonov tutto è possibile.
«Bresciaoggi», 03.04.2013