Emmanuel Carrère | Limonov
Limonov è la cosa più interessante scritta negli ultimi anni; è così che bisognerebbe scrivere una biografia (M, conoscente)
Limonov l’ho finito un paio di settimane fa: splendido, una delle cose migliori lette quest'anno (G, ex fidanzato)
Non poteva essere un caso che due perfetti sconosciuti, con in comune solo il fatto di essere pugliesi trapiantati a Roma e di conoscere la sottoscritta, tessessero le lodi in modo così totale ed entusiastico dello stesso libro. Un libro che mai avrei pensato di poter amare, perché diciamocelo, i libri che hanno come sfondo, o come protagonista, la desolata terra Russa non ispirano per leggerezza e trasporto, quanto meno per quel che mi riguarda.
Limonov, edito Adelphi, è davvero il libro più bello di questo mio 2012. Scritto da Emmanuel Carrère, scrittore e sceneggiatore, e tradotto da Francesco Bergamasco, è la biografia di Eduard Savenko, detto Limonov, un uomo con una vita assurda, ai limiti della follia. Nato una cittadina di provincia della Russia, figlia, come tutti loro, del Comunismo vero, trapiantato a New York, dove è riuscito ad entrare nella crème delle cene altolocate per poi finire in squallidi motel tra prostitute e gangster, emigrato a Parigi e poi coinvolto nella guerra dei Balcani, al fianco dei serbi, fino a tornare in Russia, per fondare un partito, quello Nazionalbolscevico, che è una nemesi di estrema destra ed estrema sinistra che non ci si capisce. Una storia che non sembra vera e che invece lo è, raccontata in maniera splendida e che tiene il lettore appiccicato alla carta fino alla fine. Limonov lo si ama, poi lo si odia, poi ne si prende le distanze, poi ci si chiede se non ci stia prendendo in giro, poi se ne ammira la profonda intelligenza, poi ci si irrita di fronte alla sua mancanza di umanità, poi si scopre che ce l’ha. Non si riesce ad inquadrare chi sia, proprio non ce la si fa, ed è forse anche qui il fascino di quest’uomo e anche quello di questo libro, che ha un ritmo vivace senza mai cadute e che incorona Carrère come autore di romanzi che, come ha ammesso lui, più che biografie sono ritratti delle vite degli altri.
Hanno detto bene, i tipi di Rivista Studio, dopo Open, caso letterario del 2011, ecco che è Limonov a chiudere il 2012 con il botto. Sebbene i due libri siano lontanissimi, la formula è la stessa ed è vincente: vite interessanti raccontate benissimo (lì da J.R Moehringer, qui da Emmanuel Carrère) e che ci danno la sensazione di vivere quelle storie o di essere quanto meno al fianco del protagonista in ogni cosa che fa.
Carrère ha ammesso di essere in qualche modo debitore a Capote e in questo libro se ne sente il profumo benissimo. È un libro figlio di A sangue freddo, del new journalism, del romanzo-verità. Ma è soprattutto un libro sincero. Ed è questo che apre il cuore in due, dandogli un pugno forte.
Teppista, poeta, maggiordomo, imbucato alle feste della New York «bene», scrittore, politico. Limonov ha saputo adattarsi alle vite che la Vita gli sbatteva addosso; Carrère ha saputo raccontare queste vite in un unico romanzo, splendido, lucido, che quando finisce lo chiudi e lo stringi al tuo petto per non lasciarlo andare via.
«Finzioni», 1 gennaio 2013