»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Benvenuti nel vero romanzo. Limonov, l'eroe-canaglia riscritto da Carrère

Bernardo Valli

Esce il nuovo libro dello scrittore dedicato alla storia dell'avventuriero russo, a metà tra reportage e racconto.

Lo si può chiamare come si vuole: racconto, romanzo, biografia, e, perché no?, reportage. In fondo è la lunga descrizione di un personaggio reale: una canaglia, un poeta, un ladro, un donchisciotte, un vagabondo e tante altre cose ancora; un vigliacco ma anche un eroe romantico; un amico dei deboli ma anche un rivoluzionario nazional-bolscevico che puzza di nazi-fascismo nella bolgia postcomunista; un complice a Sarajevo degli assassini serbi ma anche un detenuto leale, coraggioso; e, ancora, un avventuriero del sesso dedito a tutte le esperienze: capriccio, amore, interesse, performance erotico-atletica. Per dirne una: guardava e ascoltava Aleksandr Sol enitsyn alla tv americana sodomizzando la sua donna. Per sopravvivere tra gli yankees non guardava a quel che c'era sotto la cintura dei suoi partners, né al colore della loro pelle. E, peggio ancora, non amava, non ama Nabokov. Uno cosi è difficile scovarlo. Anche tra i russi. Inoltre è uno scrittore. Uno di quegli scrittori maledetti, non importa in quale lingua, di cui i parigini vanno matti da quando non ne producono più in proprio.

Al vertice come nel sottoscala del racconto, geni e artigiani della scrittura hanno costruito i loro personaggi. La fiction è un universo magico. Al vertice i Demoni e i Karamazov di Fëdor Dostoevskij. Ma non sono da gettare neppure la papessa Fausta e i Pardaillan del corso Michel Zévaco, eroi dei feuillettons popolari che accesero le fantasie dei giovani di vecchie generazioni, compresa quella di Sartre.

In «Limonov» (edito da Adelphi) Emmanuel Carrère si tiene fuori da quell'universo, abbandona la fiction ma non rinuncia alla magia. Ricorre al new journalism. Ha trovato Eduard Limonov bell'e fatto. In carne e ossa. Per raccontarcelo come si deve, per renderlo il più possibile appetibile al lettore, ha aggiunto un'impronta letteraria allo spigliato stile del cronista che ricostruisce fatti avvenuti sul serio. Il cronista è presente nella veste di narratore: cosi Emmanuel Carrère diventa anche lui un personaggio del romanzo. È stato l'americano Tom Wolfe, all'inizio dei Settanta, a battezzare new journalism un metodo non del tutto nuovo. Con A sangue freddo Truman Capote è stato un campione del genere.

Lo è anche Emmanuel Carrère con il suo «Limonov». Lo si legge d'un fiato. L'eroe, «che ha avuto una vita di merda», lo dice lui stesso, riesce a essere ripugnante e simpatico. Romantico, appunto, e miserabile. Senza limiti nell'ignominia eppure con balzi d'orgoglio. Non sai se respingerlo o abbracciarlo. Se lo abbracci devi interrogarti sulle tue frustrazioni; se lo respingi devi chiederti cosa si nasconde sotto il tuo perbenismo, sotto il tuo politicamente o moralmente corretto. Nei due casi è un problema. Meglio alternare slancio e ripudio. E non è ancora finita, perché Limonov è tuttora vivo, si aggira sui settant'anni e di recente è stato arrestato nella Russia natale perché manifestava contro Putin, insieme ai liberali. Ha persino tentato di candidarsi alla presidenza della Repubblica.

Non ho mai letto i libri di Limonov, eppure ne ha pubblicati anche in Italia. Prima di aprire quello di Carrère non sapevo neppure che esistesse. Una grave ignoranza perché Limonov ha bazzicato a lungo a Parigi, dove vivo. È evidente, i nostri ambienti non erano gli stessi. Negli anni Ottanta i suoi comportamenti più provocatori che eccentrici, di una brutalità sentimentale molto russa, ammantati da un passato tra il torbido e il tragico, cosi come la foggia dei suoi abiti, spesso ridotti a una giacca da soldato dell'Armata Rossa, ne facevano un barbaro davanti al quale i piccoli borghesi intellettuali parigini si inginocchiavano in adorazione. Non recitava. Sembrava autentico.

Emmanuel Carrère ha voluto indagare. L'incontro con Limonov non l'ha lasciato indifferente. Pure lui ha sangue slavo. Gli viene dalla madre di origine russa: Hélène Carrère d'Encausse è la sovietologa francese che ha previsto, è vero, l'implosione dell'Urss, ma nel modo contrario a quel che è poi avvenuto. Accade che gli storici, tentati dal pronostico, manchino il bersaglio, ma ci vadano vicino. Il figlio Emmanuel ha la curiosità del giornalista e la vocazione del romanziere, mestiere che esercita già con meritato successo. Non condivide affatto la passione materna per le profezie. Va sul concreto. Limonov si rivela via via per lui un personaggio ideale. È il protagonista vero, palpabile, già pronto, basta descriverlo, di un romanzo che non è un vero romanzo, perché la storia è reale, da raccontare cosi com'è, con pochi trascurabili ritocchi. Se in letteratura il romanzo lineare ha il singhiozzo, funziona sempre meno, le cronache di fatti avvenuti sul serio o le biografie vissute davvero offrono trame che sfidano il tempo. E conquistano i lettori. Emmanuele Carrère ha colto l'occasione. L'esistenza di Eduard Limonov comincia come un'automobile da corsa che appena par tita sbanda e rischia di uscire dalla pista. La madre gli inculca un principio: bisogna colpire per primo. Lui cerca di adeguarsi. Il padre è di origine ukraina, elettricista di professione, arruolato nel NKVD e destinato a fare la guardia alle fabbriche d'armi, incarico che non ne fa un eroe ma un imboscato durante la guerra. Mentre il nonno materno muore nella battaglia di Leningrado, alla quale partecipa per punizione, avendo rubato soldi dalla cassa del ristorante che dirigeva. Eduard legge Dumas e Verne, sogna di fare il soldato, ma lo scartano per la vista malandata. Appena adolescente vive come un piccolo delinquente a Kharkov e se non finisce in prigione è perché il padre, ufficiale del NKVD, lo protegge. A quel periodo dedicherà più di un libro, perché sempre a Karkov, in Ucraina, insieme alla malavita comincia a frequentare amici che amano la letteratura e ricopiano le opere proibite o le imparano a memoria. Eduard è portato a delinquere, ma a volte sembra che delinqua per potere poi raccontare i suoi misfatti.

La casa di Anna, una giovane donna obesa, diventata sua amante, è un luogo in cui si incontrano intellettuali dissidenti, che leggono Anna Akhmatova, Marina Tsvetaïeva, e un poeta semisconosciuto, di nome Joseph Brodsky. Che poi Eduard detesterà. Ma anche lui comincia a comporre versi. E continuerà a Mosca dove campa ritagliando e cucendo pantaloni. Le sue poesie sono apprezzate dagli amici ma non gli danno la gloria che intende raggiungere. Dunque evade verso l'America e l'Europa. Anche se poi ritorna nella sua Russia.

Seguendo Limonov si percorre la storia russa degli ultimi quarant'anni. In alcuni capitoli, attraverso una vicenda individuale non comune, oppure scostandosene a tratti, Emmanuel Carrère descrive il paese, ci fa intravedere gli angoli grigi della sua società, e conoscere brandelli di una generazione. L'epigrafe firmata dall'odiato Putin, che figura all'inizio del libro, è un programma. Dice: «Colui che vuole restaurare il comunismo non ha testa. Colui che non lo rimpiange non ha cuore». La vita degli emigrati russi in America, dove Limonov è cameriere di un miliardario e passa dall'umiliazione a una effimera semigloria, è descritta nelle pagine più belle del libro. Insomma, un libro da leggere.


«La Repubblica.it», 27.09.2012

Eduard Limonow

Original:

Bernardo Valli

Benvenuti nel vero romanzo. Limonov, l'eroe-canaglia riscritto da Carrère

// «La Repubblica» (it),
27.09.2012